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Antonio Bergo
Watch Expert
Marzo 2022

A.D.  1336

È sempre difficile mettersi nei panni degli altri. Se poi non lo conosciamo, l’altro, direi che è quasi impossibile. Figuriamoci se la persona di cui vorrei “vestire i panni” è vissuta ai primi anni del 1300.

No, non sono impazzito, è che da grande appassionato di storia dell’orologeria mi piacerebbe tanto sapere cosa pensavano, come vivevano, cosa sapevano, come reagivano persone molto lontane dalla mia realtà, di fronte alle novità.

Quale grande impressione dovettero provare coloro che si trovarono a passare nei pressi del campanile di San Gottardo in Corte, vicino a quello che è oggi Palazzo Reale.

Era tornato di nuovo visibile, dopo che per anni era stato avvolto da impalcature. Che grande emozione provarono nel momento in cui si sentirono i rintocchi che indicavano le ore, e quando alzando gli occhi videro su uno dei lati, una specie di affresco che i più istruiti dissero servisse per “leggere” l’ora.

Sono certo che molti si fermarono, nonostante dovessero sbrigare le loro faccende, per commentare tale meraviglia perché, già allora, i milanesi amavano commentare.

Novità per molti ma non per tutti, perché chi si spostava in città e fuori le mura, aveva già sentito che a San Eustorgio, dalla torre, una campana suonava ad ogni ora. Un solo tocco per ora.

Ma come è possibile? Ma chi lo avrà realizzato? Non sarà opera del Demonio? Ma quanto sarà costato? Che meraviglia. Ma dove andremo a finire. Sono certo che la maggior parte si sarà segnata.

Ovviamente non so quali potessero essere le domande, i pensieri o i commenti di quei milanesi e non, che per primi sentirono suonare le ore su una campana udibile anche a distanza. Le ore venivano battute assegnando a ciascuna, tanti rintocchi quante le unità del suo numero. Una cosa mai udita.

Potrà sembrarvi banale oggi, ma fu una rivoluzione, un grande evento. A parte qualche ordine monastico, a pochi nobili e alcuni studiosi, la maggior parte delle genti misurava il trascorrere del tempo osservando il sole. Ci si alzava all’alba e ci si ritirava al tramonto, possibilmente con la pancia piena.

Ma mentre nelle campagne la vita era legata al passare delle stagioni, in città molte attività avevano tempi e “ore” precise, regolate però con sistemi poco accurati, rozzi, a volte di parte.

I primi orologi da campanile e poi da torre civica, crearono le basi per una regolamentazione più “democratica” del trascorrere del tempo. L’ora scoccava per i monaci intenti alle loro preghiere, per il nobile e i cortigiani, per i datori di lavoro ma anche per chi prestava la sua opera nelle botteghe, nei laboratori e in qualsiasi altra occupazione. La giornata iniziava e terminava con tempi certi, non più a discrezione del proprietario dell’attività. L’ora che suonava rendeva il tempo uguale per tutti.

Qualcuno ben informato, c’erano già allora, aveva raccontato che da tempo anche all’interno dei monasteri, i monaci usavano strani arnesi che misuravano il trascorrere delle ore senza l’uso dell’acqua, senza ricorrere solo alle clessidre, alle clepsammie, alle candele graduate, alle meridiane. Una strana macchina tutta di ferro che, visto il costo del metallo, era cosa solo per ricchi.

Ecco quello che, forse, si dicevano quei nostri lontani concittadini prima di riprendere le loro dure occupazioni.

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